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10 novembre 2008

Ho avuto la fortuna di partecipare al Memorial Giampaolo Bardelli 2008 a Pistoia, la manifestazione che premia chi ha meritato per iniziative, scritti e azioni contro il doping nello sport e per la corretta educazione sportiva.
Non mi sto a dilungare sui motivi per cui ero invitata,ma ero solo un ospite e per tanto al di fuori degli addetti ai lavori.
A tale manifestazione è intervenuto Carlo Petrini, ex calciatore e autore di libri antidoping noto attaccante degli anni Sessanta e Settanta, ha militato in diverse squadre italiane, tra le quali il Milan di Nereo Rocco, il Torino, la Roma di Liedholm, il Bologna; personalmente non conoscevo il signor Petrini e non ne avevo mai sentito parlare, considerando la mia giovane età.
La testimonianza del signor Petrini è stata sconvolgente quanto toccante, perché quest’uomo è affetto da cecità e di un tumore al cervello e le sue parole non cercavano compassione, ma cercavano solo verità.
Negli anni in cui giocava veniva fatto uso di sostanze dopanti, ma non immaginiamoci le classiche siringhe con all’interno la pozione magica, ma tali ragazzi erano oggetto dei più squallidi e improbabili imbrogli per divenire cavie di prodotti che gli avrebbero resi più forti o più resistenti.
Non si è permesso di dire che il tumore che ha al cervello,che come ha detto lui stesso “non ti da la certezza che ci sarai domani”, sia stato causato dall’utilizzo indotto di tali sostanze, ma ha affermato con certezza che la sua cecità è conseguenza del doping.
In quel periodo non potevi permettere di dire di no, se volevi andare avanti e se volevi aiutare la tua famiglia, perché a quei tempi giocare a calcio era davvero un lavoro che dava il pane per mangiare, non solo a te ma anche ai tuoi cari.
Non era il calcio di oggi con i miliardi e i milioni che passano tra le mani come se fossero acqua; un tempo si giocava per sopravvivere senza sapere però che accettando tali condizioni si metteva a rischio la propria vita.
Commosso mentre ricordava certi momenti, si è soffermato sulle centinaia di ragazzi che non ha più visto la partita successiva o che non ha più visto in assoluto, ma non perché avessero rinunciato al sogno o non avessero accettato le condizioni di questi criminali, ma perché la vita se li era portati via.
Io ho 29 anni, sono tifosa di calcio e della Juventus, molto giovane per ricordare certi eventi, poco informata per sapere cosa accade veramente. Credo che la storia di Petrini, e la più recente di Borgonovo (anche se non è stato dimostrato che la SLA sia la conseguenza di un uso di sostanze dopanti) siano l’esempio che il calcio non deve essere riformato solo perché gli arbitri erano pagati o perché ci sono sempre le solite facce al vertice.
Credo che ogni tifoso debba fare una riflessione, deve per un attimo pensare che esistono persone disposte a tutto per insabbiare e per coprire personaggi cosi detti “grossi” a discapito di vite umane e anche se non se ne parla, come accade spesso in Italia, non è detto che non ci siano.
Ognuno di noi ha un idolo, un campione del cuore a cui non vorremo mai che accadesse tutto questo e non ci vogliamo neanche pensare, perché sarebbe devastante, perché certe cose non si capiscono, non si accettano.

Mi piacerebbe che tali persone non fossero dimenticate e che non fossero dimenticate neanche le famiglie che hanno affrontato una così difficile realtà come perdere un figlio o un marito.

Ci vuole meno omertà e più dignità umana per cambiare, ma rimane solo un utopia italiana.

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